Ricominciare non è mai un errore
Ci sono luoghi che accettano il silenzio senza contestarlo. Luoghi che rimangono fermi nel tempo, come se attendessero il ritorno di qualcuno che ha lasciato la porta socchiusa.
Questo blog è stato, per me, esattamente questo: una stanza in cui avevo appoggiato libri, appunti, riflessioni, e poi, quasi senza rendermene conto, avevo smesso di entrarci. La vita aveva preteso altre energie, altri pensieri, altre battaglie. E così, lentamente, il quotidiano aveva sovrastato lo straordinario.
Non c’è nulla di eroico nel tornare.
Eppure, c’è qualcosa di profondamente umano.
Forse per questo ho sentito la necessità di scrivere queste righe: non per giustificarmi, né per celebrare un rientro trionfale, ma per ribadire un principio che nella storia — quella con la “S” maiuscola e quella minuta che ognuno porta nel proprio cuore — si ripete con ostinazione: ricominciare non è mai un errore.
1. Il tempo sospeso e il valore del ritorno
Quando si studia la storia, ci si rende conto che la linearità è una costruzione posticcia, un’illusione che ci serve per mettere ordine nella complessità del mondo. Gli eventi, in realtà, sono frastagliati, intermittenti, segnati da pause più eloquenti dei fatti stessi. Ci sono regni che rifioriscono dopo un apparente declino, generali che risorgono da sconfitte devastanti, intellettuali che producono le loro opere migliori dopo anni di silenzio.
Ed è curioso notare che, mentre la società contemporanea ci impone la continuità, la storia ci insegna la discontinuità.
Ci dice che le interruzioni non sono un fallimento: spesso sono incubatrici.
Penso alla figura di Napoleone all’Elba. Era, in teoria, un uomo finito. Deposto, sorvegliato, apparentemente sconfitto dal corso degli eventi e dalle potenze europee. E invece proprio lì, in quello spazio ristretto e marginale, riscoprì una forza creativa sorprendente: riformò le scuole, modernizzò la sanità, disegnò strade, cambiò l’amministrazione locale. Sembrava che quel microcosmo isolano gli offrisse l’occasione di riflettere, ripensare, riordinare.
Un uomo costretto al silenzio che, paradossalmente, imparò a parlare di nuovo.
La storia è piena di questi ritorni inattesi.
E ognuno di essi sembra ricordarci che il tempo non è solo ciò che scorre, ma ciò che ci prepara.
2. Le ragioni del mio silenzio
Non ho nessun Elba personale da raccontare.
Le mie ragioni sono molto più semplici: un intreccio di doveri, lavoro, progetti da costruire, affetti da proteggere, inquietudini da governare. E un limite umano che tutti conoscono ma pochi confessano: il tempo non basta mai, soprattutto quando si desidera fare le cose bene.
Nel frattempo, però, io continuavo a leggere, studiare, lavorare su nuovi progetti, costruire i miei video, immaginare percorsi possibili. Niente di quello che sono è rimasto fermo. Solo questo spazio sì. E non perché fosse meno importante, ma perché scrivere — quello scrivere serio, meditato, lento, a cui non voglio rinunciare — richiede un tipo di presenza che in certi periodi diventa difficile.
E allora ho fatto quello che fanno gli uomini prudenti: ho atteso.
Non ho chiuso la porta, non ho dichiarato finito il progetto, non l’ho tradito.
L’ho semplicemente lasciato respirare.
Oggi so che quella pausa era necessaria.
Non era un errore: era una gestazione.
3. Il bisogno di parola
Ogni essere umano coltiva un suo modo di tenersi in equilibrio.
Per alcuni è la musica, per altri l’arte, per altri ancora il silenzio.
Per me è la parola.
Non la parola veloce dei social, quella che si scrive mentre si guarda un orologio invisibile. Non la parola strategica, non quella seduttiva, non quella polemica.
La parola che cerco è l’altra: quella lenta, meditata, che scava e costruisce, che illumina un dettaglio, che mette a fuoco un pensiero prima che il pensiero sfugga.
Quando non scrivo, una parte di me resta incompleta.
E chi ama la storia lo sa bene: le civiltà non muoiono mai del tutto finché continuano a parlare. Finché continuano a narrare, spiegare, interpretare. Gli uomini non sono diversi.
Scrivere è il mio modo per restare vivo.
Per rimettere ordine tra ciò che ho letto e ciò che ho vissuto, tra ciò che sto diventando e ciò che ancora non sono.
Questo blog, dunque, non era solo un progetto: era un pezzo della mia identità.
E nessuna identità dovrebbe restare spenta troppo a lungo.
4. Storia e inquietudine: due vie parallele
In molti mi chiedono come possa convivere la mia passione per la storia con la mia inclinazione alle domande esistenziali. In realtà non c’è contraddizione.
La storia è inquietudine. È il tentativo continuo dell’uomo di mettere ordine nel caos.
È la ricerca di senso attraverso la memoria.
Ogni volta che leggo di un sovrano, di un generale, di un politico, di un filosofo, mi accorgo che la domanda fondamentale è sempre la stessa: che cosa stava cercando?
Potere? Sicurezza? Immortalità? Giustizia? Amore?
A ben guardare, cambiano gli strumenti, ma non gli interrogativi.
Forse è questo che rende la storia la mia più grande consolazione: leggere il passato significa riconoscere che le nostre inquietudini non sono nuove. Che tutto ciò che ci tormenta è stato già vissuto, affrontato, trasformato, superato.
È come se le figure del passato, con i loro trionfi e i loro fallimenti, ci dicessero:
Non sei solo nel tuo percorso. E non sei il primo a dover ricominciare.
5. La verità dei nuovi inizi
Ricominciare non è un atto eroico.
Non richiede applausi né annunci solenni.
È, piuttosto, un gesto di resilienza quotidiana.
La storia ci mostra che i nuovi inizi raramente accadono nei momenti più luminosi.
Accadono dopo le cadute.
Dopo le perdite.
Dopo le delusioni.
Dopo gli anni in cui si è seminato senza raccogliere.
Ciò che conta non è la forza: è la direzione.
Ricominciare significa guardare la realtà con occhi diversi, riconoscere ciò che ha peso, lasciar andare ciò che non serve più. È un atto silenzioso ma profondissimo. E non è mai un errore perché permette di riallineare se stessi con ciò che si è veramente.
Oggi sento che la mia voce — quella autentica — ha bisogno di tornare a casa.
E questo blog è una delle mie case.
6. Cosa aspettarsi da questo nuovo ciclo
Non prometto una cadenza precisa — la vita non funziona con gli orologi dei blog.
Prometto, però, qualcosa di più importante: autenticità.
Qui scriverò di ciò che mi appassiona e di ciò che mi inquieta.
Parlerò di Napoleone, dei Marescialli, dei re inglesi, delle battaglie che hanno cambiato il mondo.
Parlerò dei libri che mi accompagnano.
Parlerò di ciò che sto costruendo, dei progetti che prendono forma, delle trasformazioni che sto vivendo.
E parlerò anche delle domande che restano aperte, perché sono quelle che rendono un uomo vivo.
Questo sarà un luogo libero.
Un luogo colto ma non accademico.
Un luogo personale ma mai egocentrico.
Un luogo dove la storia incontra la vita, e dove la scrittura diventa un ponte.
7. Appunti di bordo dell’Aquila
Ritorno alla scrittura come si ritorna a un porto conosciuto: non per fuggire dal mare, ma per ripartire con rotte nuove.
Il viaggio ricomincia qui.
